Storia ed evoluzione dei gioielli – Parte seconda

Storia ed evoluzione dei gioielli – Parte seconda

I gioielli durante l’Impero Romano

Tra i numerosi meriti che vanno riconosciuti ai Romani, bisogna menzionare il loro contributo nell’affermazione delle gemme nell’arte orafa e del valore che il gioiello ha ricoperto, con sempre maggiore enfasi, nella società umana.
Fin dall’inizio della sua storia, l’Impero fu caratterizzato dalla scarsità d’oro, essendo appena sufficiente per finanziare le guerre e mantenere l’esercito unito. Non a caso, furono emanante nel corso dei primi secoli delle leggi; basti pensare alla Legge delle dodici tavole che limitava la quantità d’oro concessa ai morti nella sepoltura o alla Lex oppia che impediva alle donne di indossarne più di 15 grammi per l’ornamento personale. Tuttavia, nonostante questo problema fosse inizialmente diffuso, durante la tarda età repubblicana si evidenziò un deciso cambio di rotta. I Romani, affascinati dalla creazione dei gioielli, prendendo come spunto la raffinatezza e lo splendore dei Greci e la creatività degli Etruschi, cedettero al desiderio di ostentazione. A livello sociale, nell’antica Roma, i gioielli iniziarono ad essere un mezzo per distinguere le varie classi sociali.
Figura 1 – Gioielleria romana d’epoca imperiale – I / IV secolo D.C. Museum of Fine Arts. Budapest. Hungary
Petronio nel suo Satyricon evidenzia l’abitudine dei ricchi nell’esibizione del loro status proprio tramite gioielli voluminosi ed appariscenti[1].
Tra i monili maggiormente utilizzati, si ricordano: la bulla aurea, indossata dai bambini romani, costituiva un ciondolo d’oro, considerato dapprima il segno della loro sacralità e successivamente come oggetto portafortuna; molto diffusi erano pure gli orecchini, inaures, indossati sin dall’infanzia e i più amati dalle donne; la buccola, ovvero il cerchio che veniva posto sul braccio, che poteva essere di bronzo, rame, argento o oro. Per quanto riguarda le collane, difficilmente queste erano in oro o argento ma venivano utilizzati materiali alternativi come la pasta di vetro o perle, corallo, ecc. Anche i bracciali, armille, erano in voga, sia quelli alle braccia sia alle caviglie e quasi sempre erano rivestite in oro. Ad ogni modo, l’ornamento per eccellenza tra la popolazione, oltre alla spilla, era l’anello. Uno dei pochi pezzi di gioielleria che potesse indossare anche l’uomo, esso esplicava diverse funzioni. Veniva utilizzato come pegno matrimoniale o come sigillo dalle alte cariche religiose e politiche. In quest’ultimo caso, vi erano incastonate delle pietre, raffiguranti simboli, stemmi di famiglia, divinità o teste di imperatori. I Romani, al riguardo, stante il problema di fondo della mancanza elevata di oro, diedero grande importanza alle gemme. Impiegarono, infatti, tutte le pietre preziose e semipreziose che riuscivano a reperire. Quelle meno dure venivano tagliate a cabochon e levigate, le altre invece solamente lucidate. I loro gioielli, pertanto, avevano colori importanti utilizzando topazi, zaffiri, diamanti grezzi e smeraldi provenienti da tutto l’Impero[2]
I Romani, inoltre, introdussero due nuove tecniche di lavorazione: l’opus interassile[3], cioè un disegno a trafori su un foglio d’oro effettuato tramite un bulino e il niello, un composto nero utilizzato dalla civiltà greca per decorare le armi e adoperata, in seguito, dai Romani per rifinire i disegni dei monili.
A questa civiltà, pertanto, va riconosciuta l’importante svolta nel campo dei gioielli, iniziando a focalizzare l’attenzione anche sulle pietre preziose e divenendo, in modo più esplicito, strumento di individuazione dello status sociale di chi li indossava.

Il periodo buio del Medioevo

L’epoca nota come Medioevo venne caratterizzata dalla presenza della Chiesa Cristiana, la quale tramite il suo potere, vincolava a sé tutte le arti. Tra queste, anche l’oreficeria subì un tale condizionamento relegando, quasi del tutto, i gioielli pervenutici ai soli oggetti sacri, come croci, scettri, copertine per i libri, ecc. Di conseguenza gli ornamenti preziosi, in questa fase della storia dell’uomo, più che per l’uso personale assolvono alle funzioni cerimoniali e religiose, divenendo segni di investitura divina e status. Non stupisce, quindi, come gli stessi oggetti venivano prodotti, nella maggior parte, all’interno delle cattedrali.
All’infuori della religione, invece, l’avanzamento e l’evoluzione di ogni singola arte venne quasi del tutto abbandonata. Un’eccezione era costituita dai nobili e dalle famiglie reali, i quali avevano conservato il diritto di indossare gioielli. La corona tempestata di pietre preziose o lo scettro d’oro, erano i simboli che evidenziavano la potenza del sovrano e rendevano anche visibile il potere divino, che si manifestava per mezzo di essi.
Nel Medioevo si amavano le superfici traslucide degli smalti e dei metalli e la cromaticità delle pietre. L’interesse per le gemme era giunta forse al culmine durante l’imperversare di epidemie e di carestie, in quanto le persone si affidavano alla protezione delle pietre preziose, prevalendo l’aspetto mistico ed esoterico[4]. Fra l’oreficeria “profana” erano diffusi i diademi e i pendenti. Riguardo a quest’ultimi, si ricorda il “talismano di Carlo Magno” sepolto assieme all’imperatore e conservato, ad oggi, nella cattedrale di Reims. Questo magnifico esemplare ha una montatura in filigrana d’oro tempestata di smeraldi e perle mentre al centro si trovano due zaffiri a cabochon.
Col passare degli anni, ad ogni modo, i gioielli più semplici tornarono a circolare tra la gente comune e a partire dal 1000 d.C. si iniziò ad intravedere una risurrezione di numerose arti, tra cui quella orafa.
L’aumento della classe media e della ricchezza saranno il trampolino di lancio per quello che verrà considerato l’avvento che rivoluzionerà, non solo il mondo dei gioielli ma tutta la vita dell’uomo: il Rinascimento[5]..

La ripresa del gioiello: dal Rinascimento ad oggi

Dopo più di 1000 anni di stasi durante il Medioevo, l’Europa inizia a vivere una rapida espansione di conoscenze, tecnologie, scienze e arti. La ricchezza iniziò a diffondersi all’interno delle classi meno elevate e anche l’acquisto di gioielli incominciò ad accrescere.
Il Rinascimento, grazie alla rete di rotte commerciali che avevano colmato le distanze tra le varie civiltà, consentì il trasferimento illimitato di preziose materie prime, le quali confluirono nelle mani di artigiani, dando inizio alla fioritura dell’oreficeria[6].
Fu così che tale professione riuscì ad emergere dal vincolo che la legava alla sola produzione di oggetti sacri e di ornamenti reali. Si assisteva, pertanto, ad un impulso diverso nell’uso dei gioielli: dall’ornamentazione a scopi rituali a quella strettamente personale. In Italia, nella fattispecie a Firenze, Cosimo I de’ Medici, grande mecenate, nella metà del 1500, diede spinta all’arte orafa italiana riservando le botteghe di Ponte Vecchio agli orafi e gioiellieri, i quali si costituirono in formazioni professionali regolamentate, le Corporazioni. Nascevano, così, figure professionali differenti, tra cui: il tiratore, il battiloro, il filatore, il doratore e, ovviamente, l’orafo.
Si iniziò a creare una distinzione tra quest’ultimo e il gioielliere. L’orafo creava oggetti ornamentali mediante l’utilizzo di pietre. Il gioielliere, invece, concentrava le sue creazioni su manufatti che avevano la gemma come elemento principale.
Durante questo periodo, i nobili volevano adornarsi di gioielli e pietre preziose e vi era un intento spasmodico di abbinare i vari monili con l’abbigliamento che man mano si andava evolvendo. Unico risvolto negativo del Rinascimento fu, per l’appunto, il continuo mutare della moda che comportava il rifacimento dei gioielli, fusi o smontati per ricollocare le pietre in altri monili, cancellando spesso le testimonianze delle varie tendenze. Fortunatamente, tramite i vari dipinti e documenti di archivio, si riuscì a supplire tali perdite Ad ogni modo, la gioielleria veniva ormai paragonata ad un’arte e il primato in Italia e all’estero dipendevano dallo stretto legame con alcune figure, quali vari pittori e scultori famosi. Basti menzionare alcuni di essi, tra cui: Donatello, Botticelli, Brunelleschi e Pollaiolo[7].
Gli ornamenti più diffusi tra le donne erano senza dubbio gli orecchini a pendente e a grappolo. Non a caso, le acconciature del tempo lasciavano le orecchie scoperte per rendere visibile questo accessorio. Anche le collane ricoprivano un’importanza che, con gli anni, era destinata ad aumentare. Si pensi a Donna Franca Florio e alla sua lunga collana costituita da ben 365 perle, diventata famosa e parte integrante della sua immagine[8].
Seguendo sempre il passo dell’abbigliamento dell’epoca, i bracciali entreranno in disuso, a causa delle terminazioni in pizzo dei polsini.
Per quanto riguarda la gioielleria maschile, l’ornamento più diffuso era l’enseigne, un fermaglio per copricapo che raffigurava scene complesse in una piccola superfice quadrata, costituendo all’inizio una semplice placca in oro smaltato, divenne in seguito una medaglia di bronzo e attorno al 1530 un cammeo. Le tecniche andarono via via affinandosi. Ad esempio, nel Secolo XVIII si realizzava il primo taglio a brillante, con 58 faccette, sostituendo il Mazzarino, in uso fino ad allora, che ne aveva solo 32. Il gioiello era diventato un potente strumento all’interno della società e assumeva diverse caratteristiche in base all’ambiente e al periodo in cui veniva sfoggiato. Sempre più repentinamente, si passò dal barocco al rococò fino ad arrivare al neoclassico.
Dal 1837, con l’inizio del periodo vittoriano, vi furono l’introduzione di nuovi materiali e di nuove tecniche, tra cui la placcatura che nacque da un’idea dell’italiano Brugnatelli. Si passò da un’oreficeria artigianale ad un’esecuzione seriale, la quale riducendo i costi di lavorazione, permise anche alla borghesia di acquistare gioielli. In tal senso, si assiste ad un boom delle innovazioni. Venne brevettata la macchina per eseguire la catena a ganci o la macchina per creare catene forzatine e a coda di volpe, si diffuse la tiratura dei fili e la produzione meccanica delle catene, si introdussero nuove presse e tagliatrici. Il culmine di tale fase, però, venne raggiunto con l’istituzione in Inghilterra del Patent office design registry (Ufficio brevetti) e con esso si susseguirono una sfilza di innovazioni e di registrazioni, tra cui ad esempio, il tubo di sicurezza nelle spille[9].
Si migliorarono notevolmente le imitazioni delle gemme, con nuovi composti trovati da Joseph Strasser da cui deriva il termine strass, ancora oggi utilizzato per indicare alcune paste o imitazioni vitree delle gemme[10]. Il XIX Secolo venne inoltre caratterizzato da un revival, tornando di moda i vecchi stili; riprendendo la classicità romana sino a tornare agli antichi egizi.
In seguito, con la scoperta delle miniere diamantifere sudafricane, nella seconda metà dell’Ottocento, l’attenzione su questa pietra tornò più forte che mai. Essendo oramai accessibile a tutti, il diamante divenne de facto la gemma più desiderabile al mondo.
Alla fine dell’Ottocento si assiste alla nascita dell’art noveau, caratterizzata da motivi floreali e animali con smalti di nuove cromie, susseguita nel 1920 dall’art decò con le sue forme geometriche legate al cubismo.
In seguito, si perderà il susseguirsi degli stili, ma ci sarà una rapida alternanza delle mode e, il lungo viaggio intrapreso dai gioielli, dalla Preistoria ai giorni nostri, terminerà con la nascita del gioiello contemporaneo, quello d’autore, caratterizzato dalla presenza dei designers e dell’artigiano che seguirà personalmente tutte le fasi della sua lavorazione[11].

Il gioiello assumerà un nuovo significato: non soltanto di ornamento, con un senso naturalistico o allegorico, ma anche di mezzo, con cui l’opera d’arte si relaziona in modo diretto e fisico con la persona, riecheggiando il valore rituale che ha avuto nelle società primitive[12].

David Di Giglia

[1] Marco Spinelli, Il Disegno del Gioiello. Cit.

[2] https://www.romanoimpero.com/2015/02/i-gioielli-romani.html

[3] http://www.academia.edu/11526932/La_tecnica_deLL_opus_interrasile

[4] http://www.robinedizioni.it/nuovo/files/lonati-memorie-incipit.pdf

[5] https://www.andreolagioielli.com/gioielli-nel-medioevo/

https://www.forelsket.it/gioielli-lantichita-medioevo-parte-1/

Fabrizio Casu, Il gioiello nella storia, nella moda, nell’arte. Cit.

Rosita Levi Pisetzky, Il costume e la moda nella società italiana, Einaudi, pp.118 ss.

Vedi: Lia Lenti – Dora Liscia Bemporad, Gioielli in Italia. Sacro e profano dall’antichità ai giorni nostri. Marsilio.

[6] https://www.andreolagioielli.com/gioielli-rinascimento/

[7] Marco Spinelli, Il Disegno del Gioiello, 2016. Cit.

http://www.arezzograziemille.it/wp-content/uploads/2014/09/Il-Gioiello-nel-Rinascimento-PDF.pdf

[8] Rita Vadalà. L’età di Franca Florio: donne e gioielli a Palermo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. 2003. p.114.

[9] Gabriella Bucco, Donne e gioielli nella società Ottocentesca: una questione di apparenza.2003. pp. 37 ss.

[10] Cinzia Piglione, Francesca Tasso, Arti minori, Editoriale Jaca Book, Milano 2000, p. 256.

[11] Fabrizio Casu, Il gioiello nella storia, nella moda, nell’arte. Cit.

http://www.dieffegioielli.it/files/storia_del_gioiello.pdf

https://gioielloitaliano.net/it/blog/post/storia-del-gioiello-rinascimento-oggi/

http://www.caprikronos.com/la-storia-e-levoluzione-dei-gioielli/#.XC8onvZFzIX

Per approfondimenti v. Anderson J. Black, Storia dei gioielli. Ed. Odoya, 2011.

[12] Palma Bucarelli, La Galleria nazionale d’arte moderna, Roma, 1973. p. 84.

Maria Cristina Bergesio, Personalità a confronto: il gioiello segno e le donne collezioniste.2003. pp.147 ss.

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