Gli anelli e il potere temporale
I gioielli hanno svolto, fin dall’antichità, un importante ruolo simbolico. Dalle corone agli scettri che possiamo ammirare nei grandi musei di tutto il mondo, realizzati in materiale prezioso e tempestati di gemme, a meglio sottolineare il potere temporale di chi l’indossava, fino alle mitre papali e alle grandi croci del potere spirituale.
Alcuni di questi gioielli hanno mantenuto questo ruolo anche oggi, con una valenza simbolica e una forte connotazione sacrale. Fra questi uno degli esempi più importanti è l’anello.
L’anello episcopale è un anello tipicamente indossato da vescovi, arcivescovi e cardinali in segno di obbedienza e servizio alla Chiesa.
Al momento della sua ordinazione, ogni vescovo riceve in consegna il Vangelo, la mitra, l’anello e il pastorale. Il Vangelo rappresenta il suo dovere di annunciare la Parola di Dio; la mitra è simbolo dello splendore della santità a cui il vescovo neo-ordinato deve aspirare; l’anello sancisce la sua fedeltà alla Chiesa e il pastorale è un chiaro riferimento al ruolo di pastore che il vescovo assume con la sua nomina. Oggetti imbevuti di simbolismo sacro che viene rappresentato nella preziosità dei materiali di cui sono composti.
L’anello episcopale, nella sua stessa forma di cerchio, rappresenta l’infinito e l’eternità ed è spesso ornato da gemme preziose che sono scelte con profonda cura simbolica e che vanno ad identificare la gerarchia sacerdotale: lo zaffiro o il rubino vengono utilizzate dai cardinali, il topazio giallo per gli arcivescovi e l’ametista per i vescovi.
Proprio l’ametista è forse una delle gemme, insieme alla chiastolite e al diaspro sanguigno, con il più profondo legame simbolico con la Chiesa. Il nome deriva dal greco: a – methystos letteralmente “non ubriaco”. Ametista era il nome di una ninfa che, secondo diverse leggende, fu tramutata in cristallo limpidissimo da Artemide per sfuggire alle ire, o alle eccessive attenzioni, del dio Dioniso. Questo, una volta resosi conto della trasformazione, aveva versato in segno di penitenza del vino sul cristallo trasparente, donandogli quel suo caratteristico colore porpora. L’ametista protegge quindi dagli eccessi e dall’ubriachezza ed è per questo simbolo utilizzato da chi intendeva preservarsi dall’ebrezza dell’alcool o del potere. Anche baciare l’anello, e quindi la gemma, era considerato un gesto con valore purificante. Non per niente, d’altronde, i cardinali indossano la porpora e il termine stesso è diventato un sinonimo di potere nel linguaggio comune: il porpora, con le sue tinte che vanno dal viola intenso al rosso (Rosso porpora – porpora di Tiro) è proprio il colore dell’ametista.
L’ametista viene nominata anche nell’Esodo (28, 10-14) nella descrizione dei paramenti cerimoniali per Aronne realizzati come il Signore aveva ordinato a Mosè:
10 E vi incastonarono quattro file di pietre; nella prima fila c’era un sardonio, un topazio e uno smeraldo; 11 nella seconda fila, un rubino, uno zaffiro e un calcedonio; 12 nella terza fila, un’opale, un’agata e un’ametista; 13 nella quarta fila, un crisolito, un ònice e un diaspro. Queste pietre erano incastonate nelle loro montature d’oro. 14 Le pietre corrispondevano ai nomi dei figli d’Israele, ed erano dodici, secondo i loro nomi; erano incise come dei sigilli; ciascuna con il nome di una delle dodici tribù.
La chiastolite e il diaspro sanguigno non sono forse note come l’ametista ma hanno un legame strettissimo con l’arte sacra, dovuto al loro aspetto. La chiastolite è una varietà opaca di andalusite che, una volta tagliata, mostra chiaramente un motivo a forma di croce. Il suo stesso nome deriva dal greco “chiastos” che significa “a croce”. Il suo aspetto così particolare e tipico l’ha resa una pietra molto preziosa agli occhi di coloro che cercavano un simbolo materiale che rappresentasse la loro fede.
Storia addirittura più particolare è quella del diaspro sanguigno, noto anche come eliotropio. Con il suo colore di fondo verde intenso e le inclusioni rosse di ematite, è facile capire come il diaspro sanguigno abbia acquisito il suo nome. Si narra che la gemma stessa fu creata ai piedi della Croce, nel momento in cui il sangue del Cristo bagnò la terra. Per questo motivo è stata spesso utilizzata per intagli e sigilli, spesso con scene sacre di crocifissione.
Entrambe le pietre sono state usate in anelli, ma anche in ciondoli e altri tipi di gioielli, come simboli di Fede.
Se pensiamo però al Vescovo di Roma il suo è un anello ben diverso: si tratta dell’anello piscatorio o anello del pescatore che il Papa indossa all’anulare destro ed è simbolo della sua autorità. Soprattutto rivestiva, più in antichità che ai giorni nostri, un importante ruolo come sigillo segreto per la corrispondenza privata del pontefice.
L’anello viene forgiato appositamente per ogni nuovo Papa e reca il nome del papa stesso e l’immagine di San Pietro apostolo nell’atto di gettare le reti per la pesca. Alla morte del Papa il Cardinale Camerlengo si premura di sfilare l’anello dal dito del defunto e spezzarlo, un tempo per evitarne l’uso improprio, adesso per indicare la sede vacante del Pontificato.
Se si pensa ora ad un anello, fra tutti i gioielli è forse quello più banale: un semplice cerchio di metallo, a volte neanche prezioso, in cui infilare un dito.
Eppure, è quello più ricco di significati, ai quali vengono legati i sentimenti più importanti e che, soprattutto in alcuni ambiti, ha superato di gran lunga la sua funzione come mero ornamento ma, usato come sigillo o simbolo di potere e prestigio, ha finito per rappresentare la carica stessa che una volta si limitava ad indicare.
Clarisse Poloni