Storia ed evoluzione dei gioielli
Prima Parte: dal Paleolitico agli Etruschi
Origini
I primi reali segni di una presenza di gioielli nella storia dell’uomo si hanno circa 20000 anni fa, nel lontanissimo Paleolitico superiore (30000 – 15000 a.C.).
In questa fase della Preistoria, l’uomo non conosce ancora le diverse tecniche di lavorazione dei metalli, pertanto solo attraverso la manipolazione del legno e della pietra comincia a ricorrere con evidenza all’ornamento personale. L’attenzione, però, è dapprima rivolta essenzialmente ad oggetti di difficile reperibilità costituiti da: conchiglie, ciottoli, zanne di mammut, denti e corna di vari animali. Attraverso questi rudimentali monili, indossati al collo tramite foratura e il passaggio di una semplice corda, l’uomo vuole assumere le stesse caratteristiche fisiche e spirituali che contraddistinguono le sue prede.
Il “gioiello”, pertanto, nasce come mezzo di protezione ed elevazione dell’uomo[1]. Naturalmente, solo a seguito della rivelazione della metallurgia, si iniziano a conoscere e migliorare le diverse tecniche di trasformazione dei metalli. Il momento di maggior attenzione, in questo senso, è costituito dalla scoperta dell’oro e delle sue peculiarità. Questo metallo prezioso, infatti, non si ossida, è malleabile, inattaccabile dalla maggior parte dei composti chimici, non si arrugginisce ed ha un basso punto di fusione[2]. L’uomo risulta, sin da subito, ossessionato da questo nuovo metallo e numerose saranno le popolazioni che dedicheranno la propria vita alla sua lavorazione.
In tal senso, un’attenzione particolare meritano il popolo egizio ed etrusco.
Antico Egitto: la culla dell’oro
Sorta nella Valle del Nilo, la civiltà egizia ebbe la più lunga storia unitaria, politica e culturale, fra tutte le civiltà mediterranee, riuscendo a splendere e a sopravvivere per millenni (3900 a.C. – 342 a.C.). Nel corso degli stessi, numerosi furono i contributi nell’ambito dei metalli e dei gioielli, che vennero apportati da questa affascinante popolazione. Basti pensare alla tecnica della doratura o della fusione a cera persa. La prima, costituiva il processo mediante il quale veniva incollata o riscaldata una sottile lamina d’oro sopra un altro oggetto di materiale diverso. La seconda, invece, rappresentava il metodo con cui un oggetto, creato a mano e in cera, veniva ricoperto di gesso, eccetto due canali di entrata/uscita che venivano utilizzati come fori. Lo stampo veniva fatto fondere all’interno di un forno, in modo tale da permettere al gesso di indurirsi e alla cera di sciogliersi e fuoriuscire dai suddetti canali. A questo punto, veniva versato, all’interno dello stampo, il metallo fuso, al fine di assimilare la forma ricreata col gesso. Successivamente, quest’ultimo veniva rotto rimanendo, così, il modello originale in metallo[3].
Per gli Egizi l’oro rappresentava qualcosa di sacro, in quanto si credeva che fosse il materiale costituente il corpo degli dei; in particolar modo del dio sole, Ra. Gli ornamenti, pertanto, racchiudevano superstizione, magia e potere.
Le conchiglie, ad esempio, venivano largamente utilizzate nel Periodo Dinastico dalle donne egizie come protezione contro la sterilità.
Era la regione della Nubia, attraverso le sue miniere, a fornire alla società questo importante metallo che veniva utilizzato per diverse tipologie ornamentali. Basti pensare agli enormi bracciali o orecchini pendenti, ai diademi o alle corone, al sigillo o al pettorale tempestato di porcellane e pietre preziose[4]. Proprio in riferimento a quest’ultime, occorre sottolineare come gli “orafi”, in concomitanza alla lavorazione dell’oro, riservavano un’importanza non irrilevante ad esse. Il lapislazzuli veniva utilizzato per creare oggetti di culto, la corniola veniva sepolta con i defunti per rendergli un viaggio tranquillo nell’aldilà e lo smeraldo rappresentava la gemma per eccellenza.
Gli Etruschi come maestri orafi
Un’altra popolazione che, presso le civiltà antiche, eccelse nell’arte orafa fu quella etrusca.
Essi, tra l’ VIII e VII Secolo a.C., presentavano già un elevatissimo livello di qualità, sia nella lavorazione sia nell’estetica dei gioielli. I due modelli di orecchini che preponderavano nella cultura etrusca erano quelli decorati con la granulazione ed erano a forma di corno o bauletto. Riguardo a quest’ultima tecnica, iniziata dai Sumeri, e in seguito sviluppata dagli etruschi, essa consisteva nella lavorazione di minuscoli granuli d’oro per decorare i gioielli. L’oro veniva separato in sottilissime parti, unite a carbone in polvere, compresso e scaldato fino alla fusione, la quale provocava la forma di minutissime sfere. A seguito del raffreddamento, l’oro veniva sottoposto al lavaggio e successivamente le sfere venivano montate con una colla e saldate col calore.
Nell’antichità, tuttavia, non vi era solo l’oggetto plasmato in oro ma anche quello arricchito di pietre, smalti e ceramiche[5]. Fra i pendenti era invece diffusa la bolla, un ciondolo a forma di lente e la cui forma, secondo le tradizioni etrusche, proteggeva dagli sguardi malvagi riflettendoli ai mittenti. Le fibule, fibbie che fungevano da spille, erano anch’esse diffuse e decorate con disegni, a granulazioni lungo i lati e le estremità. Spesso come motivi decorativi di tali oggetti venivano utilizzate teste di satiri o di leone, sempre con funzione simbolica.
Gli Etruschi subirono numerose influenze nel corso dei secoli, ma riuscirono sempre a mantenere una propria identità nella creazione dei propri gioielli. Con l’avanzare degli anni gli orecchini diventarono sempre più grandi, gli anelli continuarono a mantenere la loro rilevanza, mentre si perse quasi del tutto l’utilizzo dei bracciali.
Intorno al 250 a.C. la civiltà etrusca venne assorbita dai Romani, ma continuò ugualmente a distinguersi dal suo popolo conquistatore, sia per la sua fantasia che per la sua precisione nei dettagli. Non a caso, i livelli artistici e tecnici di tale oreficeria furono talmente notevoli, da non poter essere eguagliati neppure ad oggi[6].
David Di Giglia
[1] Matteo Brega, introduzione, in Jauss, Breve apologia dell’esperienza estetica, Edizioni Mimesis, Udine 2011, p. 10.
Marco Spinelli, Il Disegno del Gioiello. Ed. eBook. 2016.
http://www.caprikronos.com/la-storia-e-levoluzione-dei-gioielli/#.XC0TB_ZFzIX
[2] Fabrizio Casu, Il gioiello nella storia, nella moda, nell’arte, Edizioni Europa, 2018, p. 1-15
Per approfondimenti in materia vedi: Alessandra Boccone, L’ oro nell’antichità: materiale, storia ed arte. Ed. eBook.
[3] Fabrizio Casu. Il gioiello nella storia, nella moda, nell’arte. Cit.
[4] Toby Wilkinson, L’antico Egitto. Storia di un impero millenario. Einaudi, 2012.
Maria Cristina Guidotti, Gioielli e Cosmesi nel Museo Egizio di Firenze. Giunti Editore. Firenze 2003. pp. 5-15.
http://www.sapere.it/enciclopedia/Egitto+%28civiltà+antica%29.html
[5] Sergio Cavagna, La storia del gioiello. Dagli egizi ai giorni nostri. Rassegna n. 18, inverno 2004/2005.
https://www.quinewsvolterra.it/volterra-gli-etruschi-e-i-loro-gioielli.htm
[6] I gioielli di Tharros: gli ori dei Fenici: [Catalogo della mostra tenuta a] Oristano, Palazzo Parpaglia, 13 dicembre 1990-24 febbraio 1991.
Per approfondimenti vedi: Mortira N. VanPelt, Gioielli moderni dal mondo antico. Ediz. Illustrata, Il Castello, 2016.
Fabrizio Casu, Il gioiello nella storia, nella moda, nell’arte. Cit.
Marco Spinelli, Il Disegno del Gioiello. Cit.